UCRAINA ’22 – PRIMA FASE A ELIMINAZIONE DIRETTA.

obice da 155/52 Caesar francese al fuoco (foto p.Capitini)

A giudicare da quanto raccontano le televisioni nazionali la fase a gironi del quadrangolare ucraina’22 ha esaurito il suo appeal mediatico. In attesa che a novembre inizino i campionati del mondo di calcio vogliate gradire per l’estate la replica del meglio della stagione politica appena trascorsa. Peccato che Ucraina ’22 non è una torneo sportivo, non ha tempi stabiliti e neppure regole condivise. Ma avrà comunque un vincitore. Inattesa di scoprire chi tra Ucraina, Unione Europea, USA e Russia si aggiudicherà l’ambito trofeo vogliate gradire un quadro di situazione sulla squadra che si è presentata sul campo per vincere.

Casco pilota elicottero Puma (foto p.Capitini)

Nelle ultime settimane l’offensiva russa sta martellando ogni villaggio, ogni singolo incrocio, ogni ponte nell’est dell’Ucraina e, chilometro dopo chilometro, sta mangiandosi il Donbas. A Severodonetz gli ultimi difensori sono nascosti nei sotterranei di un’altra fabbrica AZOV, stavolta di prodotti chimici. Per loro la speranza non ha ali per volare oltre il fiume che li separa da Lysychansk, la prossima vittima. Poi toccherà ad Andreyevka, Sloviansk, Bakhnur e quindi a Kramatorsk e poi? Forse a Odessa.

L’offensiva russa è una mietitrebbia che nell’estate ucraina ogni giorno falcia vite umane, non più grano. Si fermerà presto? La risposta è semplice quanto cruda: durerà finché russi e ucraini capiranno che sparando non potranno ottenere di più. Fino al momento che potremmo definire di reciproca consapevolezza è illusorio sperare che sanzioni, armi, pressioni e minacce fermeranno il massacro. Per ora dunque sono ancora gli eserciti a parlare. Di quello russo, almeno all’inizio, avevamo tutti capito ben poco. Nell’illusione calcistica che in occidente ha accompagnato la prima fase della guerra i soldati di Mosca sono stati descritti come pasticcioni, demotivati, mal armati e peggio comandati, senza una strategia e senza neppure una tattica. Forse non avevano neppure uno straccio di piano e ci mancava poco che qualcuno iniziasse a dire che erano capitati in Ucraina perché avevano sbagliato strada. I fatti e i morti si sono incaricati di smentirci anche se, diciamocelo, l’idea di una blitzkrieg c’era piaciuta tanto e invece il perfido Putin per guastarci i palinsesti ha optato per la guerra d’usura. Ora che il sistema televisivo si sta concentrando sulle vicende di casa nostra è il caso di dare un’occhiata più da vicino a questa sgangherata banda di pasticcioni che in barba alle sanzioni, alla resistenza, ai proclami e alle armi sta andando avanti. Viene in mente il paradosso del calabrone che secondo i calcoli non dovrebbe volare, ma lui non li conosce e vola lo stesso, così i russi secondo gli analisti sono allo stremo e ormai tra loro e l’abisso si frappone solo un velo di opaca illusione, ma loro non lo sanno e stanno vincendo la guerra. Da settimane si discute infatti sull’invio di armi, munizioni ed equipaggiamenti ai difensori e in gran parte lo si fa mantenendo la discussione sul piano morale. Pochi gli sforzi che, almeno nel pubblico dibattito si fanno per comprendere cosa davvero serve all’Ucraina e cosa invece ha il solo scopo di tacitare le nostre coscienze, incattivire l’avversario e in fin dei conti contribuire a proseguire la guerra.

carro armato sovietico T 62 (foto p.Capitini)

Per oltre settant’anni l’occidente è stato prigioniero di una visione, quella di milioni di uomini in colbacco azzurro arrampicati su migliaia di carri armati lanciati contro le pianure del nord Europa.  Su questa paura ci abbiamo costruito un’alleanza che da più di 70 anni ci ha protetto prima dal pericolo rosso e dopo da quello russo. Potere dirimente i una vocale. Eppure a guardarlo da vicino quello che oggi si batte in Ucraina orientale è un esercito che ben poco ha in comune con l’Armata Rossa di Ivan Drago che voleva “spiezzarci in due”. La prima novità che salta all’occhio è che quello russo è un esercito piccolo, molto più piccolo di quello ad esempio americano: 300.000 uomini scarsi contro circa 500.000.

Nel 2008, anno in cui Putin avviò la sua grande riforma dello strumento militare l’esercito russo contava circa 1800 unità da combattimento, vale a dire reparti composti da circa 700 uomini. Dopo la riforma il numero era sceso a poco meno di 200, una ristrutturazione di non poco conto. Dai tempi di Trotsky, il padre dell’armata rossa, nel 2008 Mosca abbandonava l’idea della nazione in armi, del cittadino-soldato e abbracciava il modello professionale, più efficiente, pronto e, soprattutto, meno costoso. Tuttavia posti davanti alla prospettiva di fare il soldato di mestiere e con la possibilità di finire in Cecenia, in Georgia o in Siria, i giovani russi si dimostrarono più freddi del previsto. A poco servirono i concreti sforzi del governo disposto a offrire stipendi migliori, maggiori periodi di ferie e alloggi per il personale. Si è dovuto così ricorrere ancora alla leva, almeno per gli incarichi logistici e non solo visto che la cronaca ci riporta sempre più spesso giovani soldati di leva in prima linea. A questo esercito è stato chiesto non solo di combattere, ma anche di garantire il controllo di Mosca su un territorio di oltre 17 milioni di chilometri quadrati e su regioni che a definire turbolente si pecca d’ottimismo.

A prezzo di sacrifici dolorosi per un’economia tutt’altro che florida, Mosca ha comunque mantenuto in efficienza la sua triade nucleare come viene indicata l’insieme di missili balistici intercontinentali, bombardieri strategici e sottomarini nucleari lanciamissili che fanno ancora della Federazione una superpotenza globale. A farne le spese, neppure a dirlo sono stati i materiali e gli armamenti convenzionali.

L’ammodernamento e lo sviluppo di artiglierie semoventi, armi leggere, carri armati, sistemi di comando e controllo – per non parlare della marina da guerra – ha stentato a decollare, ma d’altra parte anche per i russi il trentennio passato è stato quello dei conflitti asimmetrici a bassa intensità, delle guerriglie, dei bombardamenti da lontano. Difficile pensare che quindici anni dopo la riforma l’esercito russo si sarebbe di nuovo trovato a combattere una guerra fatta di duelli di artiglieria, caposaldi, filo spinato e carri armati.

Per completare il discorso è bene ricordare che il meglio di quanto veniva prodotto dalle aziende di armamento per anni ha preso la via del mercato estero dove mezzi ed armi rustiche e affidabili hanno sempre avuto un grande successo così garantendo a Mosca un discreto rientro di valuta pregiata.

foto p.Capitini

Per quello che rimaneva in patria, magari i vecchi T64 o T72 si è passati alla “mummificazione” una sorta di gigantesca naftalina per i tempi difficili che si sono puntualmente presentati. Da questi immensi parchi sono stati resuscitati parecchi dei carri armati che vediamo oggi sulle strade di Ucraina. Dei nuovissimi T 14 “Armata” come dei veicoli corazzati per la fanteria neppure l’ombra. Qualche esperto si è spinto a ipotizzare che sia toccato proprio a questa ferraglia il compito di assorbire i primi urti della baldanzosa difesa ucraina. Agitati come un drappo rosso davanti al toro hanno contribuito ad abbassare il livello di armi e munizioni pregiate, largamente offerte dall’occidente fino ad arrivare a queste ultime settimane dove è lo stesso presidente ucraino Zelensky a lamentarsi che in dispensa non c’è più farina. Sarà per questo che pian piano da Mosca iniziano solo ora ad arrivare mezzi più moderni e performanti? In questa disamina veloce non potevamo non accennare alla situazione dell’industria bellica russa che non solo da quattro mesi soffre molto dei mali endemici della struttura industriale russa. Corruzione, mancanza di economie di scale, delocalizzazione di componenti essenziali sono solo alcune delle voci del carnet de doleances del Cremlino. Ad esempio apparirà bizzarra che i sistemi elettronici di guida delle bombe intelligenti di Mosca venivano prodotti in Ucraina, così come ucraini erano i cantieri che provvedevano alla manutenzione della flotta, ivi compreso il glorioso incrociatore lanciamissili Moskwa che giace sul fondo del Mar Nero poco lontano da Mykolayv, il cantiere dove venne allestito.

Un esercito con pochi uomini e mezzi logori dunque? Non proprio, c’è infatti un fattore che rende l’esercito di Mosca comunque temibile. Il numero. Certo non si parla dei moderni missili o delle bombe a guida laser, ma delle tradizionali granate di artiglieria stile 2a guerra mondiale. La loro disponibilità rende ancora accettabile l’enorme consumo di munizioni che una battaglia di attrito impone. Quello che per Mosca non è accettabile è invece la perdita di soldati; non certo per motivi morali, ma perché non ce ne sono abbastanza. A differenza degli eserciti della NATO che hanno al primo posto la salvaguardia del personale, per i russi ad essere prioritario è il raggiungimento dell’obiettivo; costi quel che costi, ma fino a un certo punto.

foto p.Capitini

Ecco spiegato l’enorme ricorso al fuoco di artiglieria che sta sbriciolando città e villaggi in Ucraina. I russi hanno un artiglieria potente, numerosa e un numero di munizioni quasi inesauribile. Perché dunque continuare a sacrificare giovani equipaggi e plotoni di fanti quando si possono martellare i difensori per giorni standosene a qualche chilometro di distanza. Rispetto ai primi giorni dell’invasione questa è dunque questa una delle differenze che salta all’occhio: l’ampio ricorso al fuoco e reparti di fanteria sempre più piccoli e mobili, sul modello adottato da subito dall’esercito ucraino. Altro elemento da tenere in considerazione è la completa ridefinizione della catena di comando. L’iniziale incertezza dei primi giorni quando i generali erano in diretto collegamento con il Cremlino ma non tra di loro, con l’arrivo del generale Dvornikov è ormai superata. Come comandante in teatro Dvornikov non è certo un genio napoleonico, ma è ufficiale di grande esperienza, carisma e soprattutto un eccellente organizzatore e la sua mano si riconosce nella metodica condotta dell’attuale offensiva che sembra prefiggersi obiettivi più realistici e raggiungibili.

Cosa c’è da aspettarsi dunque per il futuro? Con ogni probabilità il proseguimento di questa tattica di combattimento che anche se lentamente sta dando i suoi frutti. L’esercito ucraino ha infatti basato la sua tattica difensiva sul trasformare villaggi, città, fabbriche in centri di resistenza a oltranza e pazienza per i civili. Tra una città e l’altra, lungo le immense autostrade, nei campi e tra i boschi Kiev ha fatto agire piccoli gruppi perfettamente addestrati e dotati di armi controcarri letali, secondo la tecnica del “mordi e fuggi”. Mancavano e mancano a Kiev grandi unità corazzate in grado di agire come riserve operative, quelle per intenderci che possono davvero lanciare un contrattacco importante là dove i russi appaiono più deboli. In assenza di queste forze decisive si conducono piccoli contrattacchi locali che guadagnano qualche chilometro e che il più delle volte cadono nel vuoto come, ad esempio, è accaduto a Kharkiv più di un mese fa. Nel frattempo i russi proseguono con la loro battaglia di usura, sapendo bene che ogni giorno che passa gli ucraini hanno sempre meno uomini e sempre meno munizioni.

C’è infine qualcosa che la guerra d’Ucraina ha messo in evidenza e che ci riguarda da vicino. Intendo dire la nostra incapacità a liberarci da un preconcetto culturale secondo il quale i russi stanno sbagliando solo perché non fanno quello che faremo noi. Ci siamo dimenticati che neppure i vietcong o i terroristi dell’ISIS combattevano come noi ma non per questo sono stati avversari meno temibili. Un popolo infatti parla, scrive, sente e anche combatte a suo modo e i Russi giorno dopo giorno, ci stanno insegnando proprio questo. Se si vuol contribuire a far finire questa guerra occorre dunque che si guardi con realismo a questo esercito che della tenacia e della sopportazione ha sempre fatto le sue armi migliori.

Abbiamo però un’alternativa: immaginarci una guerra che ci piace e far finta che i russi la combattano.

RACCONTAMI UNA STORIA – tra verità e narrazione al tempo della guerra

Tiratore scelto dell’esercito italiano (foto p.Capitini)

Verità e narrazione non si sono mai piaciute.

Troppo cruda la verità, con quel sapore metallico di assoluto che la fa somigliare troppo a una sentenza. Meglio dunque la narrazione dove è più facile aggiungere un po’ di zucchero dove serve e tagliare le parti troppo dure da masticare. Sarà per questo che i popoli l’hanno sempre preferita alla verità.

Sul mito e sulla sua narrazione le genti si riconoscono come entità a sé, spesso in contrapposizione con altre narrazioni e miti, ma poco importa, l’essenziale è fornire ad ogni popolo un’immagine sopportabile del proprio inconscio. La verità, specie quando è cruda, non lo permette. Ma non esiste una sola narrazione. Accanto a questa primigenia, collettiva e fondativa se ne affianca un’altra, quotidiana ed immediata. La prima ha bisogno di secoli e di racconti per sedimentarsi e trasmettersi; la seconda, al contrario, vive dell’oggi, dell’immediato e fa dell’oblio la sua migliore virtù. Dal bilanciamento delle due narrazioni noi traiamo la capacità di muoverci nel nostro mondo con un minimo di equilibrio. E’ quindi vitale che nessuna delle due prevarichi sull’altra ma è qui che entriamo nell’attualità.

La guerra in Ucraina od operazione militare speciale che la si voglia chiamare è solo l’ultimo episodio di questo sbilanciato rapporto tra narrazione lontana e vicina. Della verità è meglio tacere, ma riflettere sulla narrazione che ci viene quotidianamente somministrata può invece dimostrarsi utile, almeno perché se mai si riuscisse a superarla si potrebbe almeno intravedere l’ombra lunga della verità. Che tipo di narrazione ci viene dunque fornita? Un’unica, sola storia volta a solleticare le emozioni, meglio ancora se negative come il disgusto, l’orrore, la rabbia. Per questa narrazione dell’oggi non occorre un nemico qualsiasi, ci vuole il Mostro. Ed ecco che il campione delle crudeltà, dell’insensibilità, dell’ottusa stupidità appare a rete unificate. Anche la fisiognomica aiuta a renderlo inumano. Mai un sorriso, un sussulto, un moto di vita, Putin appare davvero come l’archetipo dell’insensibile tiranno disposto a qualsiasi abominio. Certo la narrazione più lunga, quella che non scorre sui binari della cronaca ma della storia ci avrebbe ricordato che di tiranni così ne abbiamo costruiti a migliaia. Saddam e il Califfo dell’Isis sono solo gli ultimi di un’infinita teoria per i quali la narrazione vicina dimentica di ricordarci che il primo è stato sostenuto dall’occidente per oltre vent’anni prima di diventare il simbolo del Male e che il secondo con una pace riparatoria dei danni della seconda guerra del golfo non sarebbe neppure esistito.

elicottero d’attacco russo Ka-52 “alligator” (foto Web)

Torniamo quindi alla crisi ucraina che ci viene descritta attraverso il pianto dei bambini, il lamento dei civili di fronte alle loro case distrutte, le fosse comuni, il grano fermo nei porti e la fame che invece l’ha già preceduto nel mondo povero. Sullo sfondo loro, i russi. Una sorta di razza aliena assetata non si sa bene di cosa ma disposta a qualunque efferatezza pur di compiacere il proprio bionico dittatore. A lato di questo dramma ci siamo noi, testimoni e custodi del vivere civile e del corretto modo di interpretare le relazioni tra i popoli. Certo, qualche svarione in passato l’abbiamo avuto, ad esempio quando abbiamo attaccato l’Afghanistan e anche quando da lì siamo fuggiti a rotta di collo, o quando abbiamo bombardato Belgrado con un numero di missioni quindici volte superiori a quelle dei russi su Kiev, per non parlare dei peccati veniali di omissione che ci hanno impedito di inorridirci per Siria, Curdi, Yemen, Eritrea, Mauritania e via così. Tutto questo avrebbe un senso se ci riferissimo alla narrativa lontana, ma su quella vicina che vive di oggi e di emozioni ha solo l’effetto di un’eco fastidiosa. Tutto bene allora? Non proprio. La gente, quella che adesso viene chiama audience, ha bisogno dell’equilibrio tra narrativa lontana e quella vicina e quando percepisce che questo si è infranto utilizza l’unica arma che da sempre ha dimostrato di funzionare: il dubbio. Ecco allora il proliferare di complotti, rivelazioni, bufale, interpretazione segrete. E’ il mondo di “mio cuggino m’ha detto…”. Solo che quando si preferisce credere al cuggino piuttosto che al tuo governo qualche danno è già stato prodotto, ad esempio ci si è convinti che la democrazia è ormai un prodotto scaduto, che la partecipazione è inutile, che il chiudersi nel nostro particulare sia l’unico modo per garantirci un minimo di verità.

Ucraina (foto WEB)

Già eccola di nuovo la verità. Prima che la storia si incarichi di dimostrarci nel dettaglio i meccanismi e gli interessi che questa ultima guerra hanno governato forse facciamo ancora in tempo a tagliare il velo opaco della narrazione quotidiana e intravedere alcune ombre se non vere almeno verosimili. Ad esempio si riuscirà ad intravedere le ragioni che stanno spingendo la più importante nazione del mondo libero e infischiarsene della metà dei conflitti in corso per scendere in campo a sostegno di una nazione che, con tutto il rispetto, nessun americano a giugno dello scorso anno avrebbe saputo collocare sulla carta geografica. Sarà forse perché nel confronto tra Cina e USA, che questi ultimi riconoscono come il vero scenario strategico di riferimento per i prossimi decenni, una Russia indebolita significherà anche una Cina più debole? La Russia come arma per indebolire Pechino? Perché no. E dove andare a premere? Non certo sull’economia che di sicuro non è il punto forte di Mosca, ma sulla sua capacità di essere ancora un formidabile avversario militare. Consumare e consumarla diverrebbe quindi imperativo fino a quando i costi di questa guerra infinita in territorio ucraino avranno reso la Russia più mansueta e meno pericolosa e soprattutto più bisognosa di aiuto da parte di Pechino. C’è qualche pericolo in questo ragionare all’ombra di una possibile verità? Certo che c’è, ed è quello di arrivare al punto che la Federazione russa sia così debole da non rimanere più una federazione. Lo spettro di migliaia di testate nucleari sparse nei silos sotterranei di qualche nuovo paese del quale oggi non siamo in grado di pronunciare il nome è di certo terrorizzante e deve essere gestito con estrema cura.

Il presidente della Federazione russa Vladymyr Putin (foto WEB)

 L’Ucraina in questo senso non può vincere né perdere. Deve semplicemente continuare finché può. Mosca cadrà in questo schema che ricalca abbastanza da vicino la strategia romana al tempo dell’invasione di Annibale in Italia? Questo è da vedere e si vedrà tra non molto. Nel frattempo si riesce a intravedere qualcos’altro. Ad esempio che la granitica unanimità della NATO tanto granitica poi non è. Difficile infatti far convivere convintamente la Turchia di Erdogan con le tre repubbliche baltiche o la Francia di Macron il quale passa più tempo al telefono con Putin che con sua moglie e la leadership polacca che sogna di far sfilare la propria cavalleria sulla piazza rossa. L’ambito dove questi sogni possono essere raccontati con maggiore libertà non è la NATO, ma l’Unione europea. Qui, al di fuori dal più stretto controllo di Washington, la Germania si scopre senza un esercito ma pronta ad assumere di nuovo il ruolo di potenza regionale ed ecco allora che trecento miliardi di euro si trovano perché una potenza dal peso strategico un esercito ce lo deve avere. E poi c’è l’Italia che una volta tanto cosa pensa l’ha fatto capire. Vuole che la guerra finisca presto perché non è in grado di tollerare il peso delle sanzioni che essa stessa ha votato. In questo ha validissimi alleati nella Francia, nella Spagna, nel Portogallo e, non ultima, nella Germania stessa. Paesi insomma che non possono essere considerati proprio l’ultima ruota del carro. Si potrebbe continuare ma in conclusione sarebbe sufficiente che ogni tanto si sollevasse il velo della narrazione vicina per scoprire quanto ancora siano valide le parole di un vecchio filibustiere quale fu Winston Churchill per il quale “… non esistono alleanze permanenti, ma solo interessi permanenti”.

AGGIORNAMENTO DI SITUAZIONE IN UCRAINA DAL 29 MAGGIO AL 6 GIUGNO 2022.

Figura 1. il saliente ucraino di Severodonetz dove si stadecidendo l’offensiva del Donbas.
  1. VALUTAZIONE

Prosegue in tutto il Donbas l’offensiva russa ed è indubbio che l’esercito ucraino si trovi in difficoltà. Finora Kiev non ha manifestato alcun cambiamento nelle tattiche di combattimento adottate durante tutta la campagna d’Ucraina, vale a dire resistenza a tempo indeterminato nei principali centri abitati e condotta di azioni di logoramento negli spazi intermedi. Le forze russe, che mantengono l’iniziativa in ogni settore, sembrano aver accettato questa tattica rispondendo con un massiccio e continuo impiego del fuoco di artiglieria, di missili e di appoggio aereo alle truppe di terra. Queste ultime, sia per motivi dottrinali, sia perché il loro esiguo numero rispetto alle esigenze della campagna vengono utilizzate con parsimonia dove le possibilità di successo appaiono maggiori. Analoga sorte non è invece riservata alle fanterie ucraine sottoposte in permanenza ad un intenso logoramento con il fuoco di artiglieria.

In questo quadro la determinazione russa a conseguire tutti gli obiettivi dell’offensiva non sembra aver subito alcuna flessione, costi quel che costi.

A tale riguardo, da più parti in occidente iniziano a trapelare le prime ammissioni di aver sottostimato o per lo meno non compreso a pieno le potenzialità e le caratteristiche dell’armata russa. La narrativa fin qui seguita dall’Occidente dipingeva un esercito russo mal equipaggiato, demotivato, corrotto, mal comandato e in generale non adeguato al compito. Con il passare dei giorni si deve constatare che questo giudizio – pur conservando alcuni e non pochi elementi di verità – è comunque viziato dalla visione della guerra e dei suoi costi che i paesi occidentali hanno rispetto a Mosca.

In sintesi l’armata russa, secondo la sua dottrina, il suo addestramento e non ultimo, le sue tradizioni persegue l’obiettivo a prescindere dai costi umani e materiali che ciò comporta. E’ una visione diametralmente opposta a quella occidentale portata a preservare le proprie forze, soprattutto la componente umana, a qualsiasi prezzo. Compreso questo e nell’ipotesi che l’Ucraina al momento non ha e non sembra poter avere in futuro la possibilità/capacità di rovesciare sul campo i rapporti di forza, riprendere l’iniziativa e condurre così una robusta controffensiva, si deve attendere un consolidamento delle conquiste territoriali russe in Donbas e la conclusione a Mosca favorevole dell’offensiva. Ciò potrebbe avvenire prima della fine di giugno con la definitiva conquista delle due province separatiste, la chiusura o la messa in sicurezza del saliente di SEVERODONETSK, la presa di possesso di una fascia litoranea di circa 70 -100 km da MARIUPOL a KHERSON e, naturalmente, il mantenimento della CRIMEA che, al di là delle dichiarazioni obbligate di Kiev, non sembra davvero essere mai stata messa in discussione.

Il raggiungimento di questi obiettivi completerebbe il secondo ciclo operativo, quello cioè successivo all’inziale attacco policentrico su KIEV, CHERNIV, KHARKIV, DONBASS e KHERSON con cui Mosca aveva iniziato le operazioni. Al termine dell’offensiva è lecito attendersi un periodo di ricondizionamento di almeno un mese durante il quale potrebbero essere condotte sporadiche azioni di combattimento, ma con il focus delle operazioni incentrato sul controllo del territorio e sul ricondizionamento di uomini, mezzi e materiali.

Vladymir Putin incontra a Sochi (Crimea) il Presidente dell’Unione Africana Macky Sall – 3 giugno 2022

Che ciò possa preludere ad un successivo, terzo ciclo operativo, non è da escludere ma al momento non si hanno elementi in tal senso. Qualora ciò avvenisse uno degli obiettivi possibili potrebbe essere ODESSA al fine di collegare i territori presi con l’attuale operazione alla provincia moldava della TRANSNISTRIA, occupata dai russi fin dal 1994. Un simile obiettivo imporrebbe comunque un sostanziale potenziamento dell’armata russa i cui segni al momento non sono visibili.

La durata della guerra non sta inoltre producendo effetti solo nella Federazione russa. Qui il consenso alla leadership di Putin appare ancora molto alto e la popolazione non sembra avvertire in modo significativo gli effetti delle sanzioni economiche. Al contrario il perdurare della guerra unito a un particolare e difficile periodo economico, sta iniziando a sollevare qualche malumore in Europa.  Contrariamente a quanto da alcuni auspicato all’inizio della campagna, la stessa durata delle ostilità inizia a indebolire anche il blocco occidentale. Oltre a ciò la situazione offre ad alcuni stati l’opportunità di percorrere una propria politica indipendente delle alleanze o delle coalizioni di appartenenza. E’ questo il caso ad esempio dell’Ungheria la cui ferma opposizione non ha permesso per giorni l’approvazione da parte dell’Unione Europea del sesto pacchetto di sanzioni (quelle riguardanti l’importazione di petrolio dalla Russia) o anche della Turchia, paese chiave dell’alleanza atlantica che continua ad opporsi all’ingresso di Svezia e Finlandia nella NATO ma che contemporaneamente vuole giocare un ruolo decisivo sia nella incipiente crisi del grano sia nei possibili negoziati di pace.

Appare quindi ragionevole che, al di là della periodica proposizione di date da parte dei media occidantali – l’ultima dovrebbe essere prevista per il 15 luglio – la leadership russa non abbia interesse a risolvere l’offensiva in tempi brevi nella convinzione che una guerra lunga finirà presto o tardi a sfaldare il campo anti-russo e quindi prefigurerà una sorta di “vittoria strategica” del fronte antiglobalista di cui Putin si è fatto garante. La natura stessa dell’economia russa, l’innegabile capacità bellica e il fatto di essere comunque una potenza nucleare di prima fascia sembrano spingere in questa direzione. Peraltro il blocco del mercato dell’energia ha solo obbligato a reindirizzare i flussi energetici (gas e petrolio) verso altri mercati. Giova infatti ricordare che quello dell’energia da cui Mosca ricava gran parte delle sue entrate è un mercato “a somma zero”, in altri termini a fronte della chiusura ad occidente si apriranno presto altri mercati a oriente.

Nave porta rinfuse secche in navigazione

Anche la gestione della cosiddetta “crisi del grano” appare essere un’altra arma nelle mani di Putin. Attraverso di essa il leader russo può infatti premere sui regimi dell’Africa e del medio oriente alimentando la narrativa che sia proprio il blocco occidentale e non la Russia a impedire il rifornimento di grano a questi paesi e quindi ad affamarli. In tal senso è significativa la visita a Sochi (Crimea) del presidente dell’Unione Africana, il senegalese Macky Sall. Quella nell’Africa subsahariana come in quella settentrionale è infatti per la Russia una presenza costante, pervasiva e in continuo aumento, così come quella cinese.

Un corollario alla crisi del grano è dato dal minamento dei porti ucraini del Mar Nero e, in generale dalla sicurezza alla navigazione in quelle acque. Il Mar Nero è quel che si definisce un mare chiuso, una sorta di immenso lago salato vasto circa un sesto del Mediterraneo sul quale si affacciano Turchia, Bulgaria, Romania, Georgia e, naturalmente Ucraina e Russia. Le due sponde più lontane distano, da nord a sud, oltre 600 km e circa 1200 da est a ovest. Nel suo punto più profondo supera i 2000 metri. Questo mare ha un solo accesso, una doppia porta in mano da secoli prima all’Impero ottomano e quindi alla Turchia: lo stretto del Bosforo e quello dei Dardanelli. C’è anche un altro stretto sotto il controllo russo ben prima che Putin s’inventasse l’operazione militare speciale. E’ lo stretto di Kerch che lo collega all’appendice orientale del mar d’Azov, un mare vasto quanto Lazio, Umbria e Marche messe insieme e profondo meno di 10 metri. Il raccolto del 2021, l’anno precedente alla guerra, ha prodotto in Ucraina oltre 27 milioni di tonnellate di grano in grande parte destinate all’esportazione verso l’Africa e l’oriente. Per trasportarle sarebbero necessarie oltre un milione di TIR, oppure 150.000 treni merci ma solo 2000 navi.

un carico di granaglie in un porto russo.

Ecco quindi che il problema della guerra e della chiusura dei porti settentrionali diventa grave visto che in assenza di un soluzione a breve termine quei 27 milioni di tonnellate rischiano di rimanere a marcire nei silos di Odessa e della altre aree di stoccaggio ucraine. Senza quel grano una buona parte del mondo povero, che l’ONU stima in oltre 450 milioni di persone, rischia la fame più di quanto normalmente non debba subire è già basterebbe per allarmarsi.  E’ inoltre da ricordare che insieme all’Ucraina anche la Russia è un produttore di grano di livello mondiale. In particolare il raccolto russo 2021 ha prodotto circa 70 milioni di tonnellate. Si sa che in tema di fitofarmaci, pesticidi e concimi chimici, la Russia non guarda tanto per il sottile ma sono pur sempre 70 milioni di tonnellate, vale a dire altre 4000 navi. A questo punto l’operazione militare speciale tra le altre distruzioni  e tragedie ha prodotto anche la chiusura dei porti ucraini, la distruzione di buona parte delle loro infrastrutture e, per la Russia, una serie di infinite sanzioni economico-commerciali delle quali si fa fatica a tenere il conto. Il risultato è che oggi si hanno oltre 100 milioni di tonnellate di grano bloccate sulla sponda nord del Mar Nero e nemmeno una delle 6000 navi che servirebbero trasportarle per il momento disposta ad attraversare gli stretti per andare a caricare. La situazione di totale insicurezza delle acque del Mar Nero ha portato inoltre al forte innalzamento dei premi assicurativi. Aumenti che sono arrivati fino al 5% del valore della nave assicurata. In termini pratici una nave che avesse deciso di arrivare a Rostov-sul-Don, piccolo porto russo sul mar d’Azov, e rimanerci una settimana, dovrebbe oggi pagare un sovrapprezzo di oltre 300.000 dollari.

Mina antinave russa spiaggiata in Romania.

Siamo dunque al secondo dei problemi: le mine navali. Per chiarezza è bene fare un distinguo tra i campi minati navali posati a protezione dei porti e le mine alla deriva. I primi si concentrano principalmente di fronte a Odessa e a Mariupol e sono stati posati dagli ucraini. Per scoraggiare i tentativi di sbarco dal mare da parte della flotta del mar Nero. I russi dal canto loro negano di aver contro-minato gli stessi accessi. Per l’apertura di corridoi di navigazione ci vorrebbero si e no una ventina di giorni per liberarli delle mine ancorate. Al riguardo è quasi impossibile condurre una simile campagna di sminamento senza il concorso dei cacciamine turchi e quindi senza l’accordo con Erdogan. Nel mar Nero tuttavia sono alla deriva anche un numero imprecisato di mine anti-nave. Chi l’ha rilasciate? Come è ovvio gli ucraini accusano i russi e viceversa salvo poi entrambi sostenere che si tratta di ordigni che hanno fortuitamente rotto l’ormeggio. Tenuto conto di quando sono stati posati i campi minati, delle correnti e dei venti appare tuttavia un po’ strano che alcune di queste mine siano ora spiaggiate in Turchia, in Georgia o in Romania. L’ipotesi che siano state rilasciate alla deriva, non ha prove ma è un fatto probabile. Anche il problema delle mine risulta dunque ancora aperto.

In conclusione la situazione appare ancora estremamente fluida e così si potrebbe mantenere per gran parte dell’estate.

2. GENERALITA’

A 100 giorni dall’inizio della guerra il fronte del Donbass settentrionale sta prendendo la svolta di una battaglia decisiva che nelle prossime settimane assorbirà gli sforzi di entrambi i contendenti. Difficile fare una previsione nel tempo, ma non è azzardato pensare che i combattimenti si protrarranno per buona parte dell’estate a condizione che entrambe le parti avranno risorse sufficienti per sostenere nel tempo una tale intensità dei combattimenti.

In tale contesto generale merita ricordare l’avvicendamento del Generale Alexander Dvornikov che aveva assunto il comando del corpo di spedizione russo in Ucraina alla vigilia dell’offensiva sul Donbass. Sulle ragioni dell’avvicendamento nel mezzo dell’offensiva non si hanno informazioni certe.

Livello tattico

Per semplificazione possiamo immaginare l’area della battaglia divisa in due settori operativi, separati tra loro ma che si influenzano reciprocamente, vale a dire:

  • a ovest SLOVIANSK-KRAMATORSK
  • a est le città gemelle di SEVERODONETSK-LYSYCHANSK.

L’insieme dei due settori è assimilabile a un rettangolo di 50 km di profondità per 100 di ampiezza tagliato a metà dal fiume Siversk-Donetz. Le quattro città-obiettivo delle forze russe intercettano due grandi assi urbani che, con andamento nord-sud, uniscono le repubbliche separatiste di Donetz e Lugansk al resto dell’Ucraina[1].

Nel settore di SLOVIANSK, dopo che nei giorni scorsi sulla città e i suoi dintorni sembrava essersi concentrato lo sforzo principale russo, ora le unità della forza di invasione sembrano essersi ridotte in numero e aver conseguentemente ridotto anche l’intensità dei combattimenti.

La 201a divisione motorizzata, coadiuvata ad est dalla 90ª divisione corazzata, sta tutt’ora tentando l’accerchiamento della città di LYMAN. Qualora l’accerchiamento fosse completato sarebbe quasi obbligatorio per la 95ª brigata d’assalto aereo ucraina che attualmente difende LYMAN, ritirarsi verso SLOVIANSK.

È peraltro possibile che l’eventuale ritiro della citata 95ª brigata d’assalto aereo costringa anche la 57a brigata motorizzata a ripiegare dietro il fiume DONETS. A questo punto, queste due brigate con l’aggiunto della 81a brigata d’assalto aereo già dislocata a SLOVIANSK potrebbero avere buone possibilità di contenere l’attaccante appoggiando la difesa sulle alture a nord di SLOVIANSK.

Settore SEVERODONETSK – LYSYCHANSK– 

Qui la situazione è molto più critica per gli ucraini con le forze dell’esercito russo e il 2º Corpo d’Armata della Repubblica popolare di Lugansk a premere su tutti i lati.

Il problema principale per la difesa della città è di essere stata isolata dalla città gemella di LYSYCHANSK e quindi dal resto dell’Ucraina. L’unico collegamento tra le due città si limita ad un solo ponte ancora mantenuto intatto che attraversa il fiume DONETS. La città di SEVERODONETSK è tutt’ora sotto attacco su tre quarti della sua periferia da parte della 127a divisione di fanteria motorizzata rinforzata di un reggimento del Lugansk e del raggruppamento della Guardia nazionale cecena. Dal punto di vista numerico si tratterebbe di 6 o 7 gruppi tattici ai quali sono contrapposti due brigate della Guardia nazionale ucraina, una brigata territoriale e reparti del reggimento SLAVIC. Al riguardo da qualche giorno arriva un numero crescente di segnalazioni non ufficiali circa la presenza di questo reparto altrimenti detto “legione straniera”, unità formata in gran parte da volontari stranieri che combattono con l’esercito ucraino.

Obice semovente 2s7 “Pilon”, cal. 203 mm

A nord, per circa 40 km tra OZERNE e LYSYCHANSK, tre brigate ucraine – la 79a d’assalto aereo, la 128a di montagna e la 58a brigata motorizzata – mantengono ancora il possesso delle alture difendendosi contro la 90a divisione corazzata e quattro o cinque brigate russe in grado di emanare una decina scarsa di gruppi tattici oltre il fiume DONETS.

Se la zona nord, lungo il Donets è per ora piuttosto tranquilla dopo il grave fallimento del tentativo di attraversamento del fiume a BILOHORVIKA, numerosi combattimenti si svolgono invece sulla linea del fronte tra TOSHKIVKA, a 5 km a sud di LYSYCHANSK, fino a HORLIVKA. Quasi tutti i villaggi da Toshkivka a Soledar sono oggetto di attacchi russi e contrattacchi ucraini.

Dando per scontato il prosieguo dello sforzo offensivo russo, nelle prossime ore il comando ucraino si troverà a decidere se tentare un contrattacco di alleggerimento, ordinare la resistenza a oltranza in città oppure tentare il ripiegamento dei circa 6-8.000 combattenti residui di SEVERODONETSK verso LYSYCHANSK. Tuttavia, dopo la presa della cittadina di POPASNA avvenuta il 7 maggio scorso, è il destino dell’intero saliente a essere divenuto molto precario.In particolare, le stesse voci, danno la presenza consistente di volontari britannici, francesi e belgi che insieme ai volontari anti-russi della Georgia avrebbero dovuto attaccare nella zona industriale i ceceni di Kadyrov e poi avanzare verso la città. A partire da questa mattina, 3 giugno 2022, giungono notizie di pesanti combattimenti nel centro della città. Questa è chiaramente la battaglia più importante del momento. Se gli ucraini la perdono, l’asse T1302 che collega LYSYCHANSK a BAKHMUT (50 km a sud-ovest di LISYCHANSK) sarà minacciato e tutte le forze ucraine della zona rischieranno di essere circondate.

Con eccezione dei due settori già indicati nel resto del teatro d’operazioni la situazione appare ancora molto fluida. Da più parti si assiste a continui attacchi limitati, puntate offensive o contrattacchi locali condotti a livello di battaglione (5-700 uomini) o compagnia (100- 200 uomini). Gli obiettivi sono sempre limitati e si materializzano con la conquista di qualche chilometro, di una posizione favorevole per il tiro di artiglieria o di qualche villaggio trasformato in un caposaldo. Niente di tutto ciò prelude a un successo operativo. Più nel dettaglio i combattimenti si concentrano nelle zone di seguito indicate.

Regione di KHARKIV. Dopo il sostanziale fallimento del grande contrattacco ucraino dei giorni scorsi ora russi e ucraini si contendono il possesso delle piccole città e dei villaggi lungo il confine russo-ucraino. Il compito per i russi è mantenere il controllo della autostrada E105 che collega BELGOROD, grande base arretrata dell’operazione in territorio russo, alla città ucraina di KHARKIV distante appena 70 km. Di assoluta rilevanza per i russi è inoltre il controllo dell’asse logistico meridionale che collega BELGOROD a IZIUM, via VOLTCHANSK, e KUPIANSK.

Per i russi che operano in quest’area oltre che assicurare la disponibilità dei due assi stradali, si tratta anche di riportare le proprie unità a ridosso di KHARKIV (10 -15 km) per proseguire il bombardamento della città da parte delle artiglierie e di impedire altresì l’infiltrazione nella fascia confinaria, ma anche in territorio russo, di forze speciali e partigiane ucraine in grado di condurre sabotaggi e altre azioni di disturbo (osservazione terrestre, colpi di mano, imboscate, demolizioni…)

Nella fascia di terreno tra Kharkiv e il confine russo-ucraino operano diversi reggimenti e milizie delle province separatiste e 5-6 gruppi tattici russi, sostenuti da artiglieria schierata anche oltre il confine. Per parte ucraina sono state individuate la 72ª brigata meccanizzata, due brigate territoriali e una brigata della Guardia Nazionale.

Zona di IZIUM. La città e le sue adiacenze che nei mesi precedenti erano state fortemente coinvolte nei combattimenti, sembrerebbero vivere un momento di calma. Una spiegazione potrebbe essere che la maggior parte delle unità russe prima impiegate in quest’area sono state ridislocate a sud per alimentare lo sforzo su SEVERODONETSK. Voci non confermate riportano tuttavia che i reparti della 38a e della 64a brigata motorizzata “GUARDIE” hanno subito perdite consistenti nei combattimenti nei boschi che circondano IZIUM e per questo sono state ritirate dalla linea del fronte.

Zona di SLOVIANSK. Qui le forze russe continuano a premere intorno alla sacca di resistenza ucraina a nord della città. A ovest la 2ª Divisione motorizzata russa sta affrontando la 81ª Brigata d’assalto aereo dalla regione forestale di Dovenhke-Krasnopillya. Tale regione intercetta la autostrada M03 che collega IZIUM a SLOVIANSK e per questo l’eventuale caduta in mano russa taglierebbe ogni collegamento tattico-logistico tra le due.

A nord e a est, la 201a divisione motorizzata e la 90a divisione corazzata russe, a seguito della caduta di LYMAN riportata il 26 maggio scorso, hanno assunto il controllo dell’intera zona a nord del fiume DONETS. Il prossimo obiettivo russo potrebbe essere probabilmente Raihorodok oltre il DONETS e 2 km a nord-est di SLOVIANSK. Sarà presto difficile per le brigate ucraine – la 81a e la 57a motorizzata resistere a lungo nella sacca creatasi a nord di SLOVIANSK. 

Settore di ZAPORAJJIA. Questo settore è attualmente il più calmo. La densità delle forze contrapposte appare insufficiente per l’avvio di operazioni significative e le attività di combattimento si limitano ad azioni minori a livello di compagnia e a duelli di artiglieria. I russi sembrano concentrarsi nell’organizzazione della difesa della zona occupata, probabilmente in previsione di un’offensiva ucraina in quel settore.

Nel settore di KHERSON, l’80ª brigata d’assalto aereo e diverse milizie ucraine si sono impadronite di DAVYDIV BRID, un importante nodo stradale a est del fiume Inhulets indispensabile per il rifornimento delle due brigate russe a nord della tascabile

Più a sud, tra Kherson e Davydiv Brid la 14ª brigata meccanizzata ha attaccato anche Snihourivka, forse per respingere la 34ª brigata russa. Le città di Kherson e Mykolayev sono tuttavia ancora saldamente in mano russa la prima e ucraina la seconda.

La zona di MYKOLAIV e la città stessa, da circa 5-6 giorni, sono sotto il costante bombardamento da parte dell’artiglieria pesante campale russa equipaggiata con semoventi 2S7 Pion/ Malka da 203 mm.

3. FOCUS SUGLI ESERCITI RUSSO E UCRAINO

Gli eserciti russo e ucraino si sono notevolmente ridotti in volume rispetto al 1991, ma hanno avuto la saggezza di conservare i armi, mezzi da combattimento e materiali. I volumi e la qualità della componente umana dei loro eserciti è crollata rapidamente dalla caduta dell’universo sovietico fin al primo decennio degli anni 2000 e in particolare in Russia a partire dal 2008 a seguito delle guerre cecene e in Georgia e, per quanto riguarda l’Ucraina dopo il fallimento della guerra separatista in Donbas del 2014.

L’esercito russo impegnato in Ucraina nel febbraio 2022 assomiglia molto in volume, attrezzature e metodi al Gruppo di Forze Sovietiche in Germania (GFSA). Tuttavia rispetto agli ultimi anni della guerra fredda ci sono alcune, significative differenze.  La prima che il GFSA era la punta di diamante dell’insieme molto più imponente dell’Armata Rossa mentre oggi il «Gruppo di Forze Russe in Ucraina» (GFRU) dispone di nove armate più le due delle repubbliche separatiste del Donbass. Ciascuno di queste armate è tuttavia più piccola di quelle del 1989. Si tratta di 15-20.000 uomini ciascuno, l’equivalente di una sola grande divisione o corpo corazzato del 1945, e soprattutto costituiscono tutta la lancia mentre la GFSA era solo la punta.

Veicolo trasporto truppa e combattimento BTR russo in operazioni in Ucraina

Un’altra differenza era che l’esercito sovietico era meglio organizzato. Le unità di manovra del GFRU sono le brigate autonome o i reggimenti delle divisioni blindate e motorizzate. Tuttavia anche dopo aver deciso per la sostanziale professionalizzazione del loro esercito, i russi non hanno mai avuto abbastanza volontari per coprire tutte le posizioni negli organici trovandosi così costretti a mantenere numerosi incarichi e reparti con i coscritti della leva che però non possono essere impiegati fuori dai confini della Federazione russa a meno che non venga dichiarata la guerra. Per volontà dello stesso Putin non è il caso dell’Ucraina dove la guerra è stata edulcorata in una definizione quasi di polizia: operazione militare speciale. L’operazione di cosmesi ha però prodotto effetti pratici. Ogni brigata o reggimento impiegato in Ucraina è stato obbligato a riorganizzarsi dopo aver subito una riduzione tra il 20 e il 40% degli effettivi, quelli assegnati ai coscritti della leva. Concretamente, si chiedeva alla forza di invasione di costituire gruppi tattici[2].  Nel febbraio 2022 se ne contavano 128.

L’esercito ucraino è invece leggermente diverso sebbene in larga parte comparabile con quello russo.  A livello organico è formato da 38 brigate di diverse tipologie (corazzate, meccanizzate, motorizzate, da montagna, da assalto aereo e aviotrasportate). A seconda della loro tipologia i battaglioni che compongono queste brigate contano da 300 a 400 uomini. L’artiglieria ucraina è molto meno voluminosa di quella dell’esercito russo. I veicoli sono gli stessi dei russi, le compagnie ucraine, per quanto ne sappiamo hanno senza dubbio le stesse caratteristiche.

A differenza dei russi, tuttavia, questi battaglioni di manovra sono più amalgamati e coesi non avendo subito la perdita della componente di leva come è accaduto per quelli russi. Uno sforzo considerevole è stato fatto anche con l’aiuto dei paesi anglosassoni per costituire un corpo di sottufficiali più solido di quello russo e stabilire metodi di comando diversi, meno incentrati sull’applicazione rigorosa di ordini e di schemi e più sul funzionamento decentrato per missioni. Con un forte sforzo di formazione dei riservisti, inviati sistematicamente sul fronte del Donbass, e molti più quadri che hanno partecipato ai combattimenti del 2014-2015. Sottufficiali migliori e più preparati e comandanti con esperienza diretta di combattimento hanno fatto inizialmente la differenza con le unità russe senza dimenticare l’innegabile motivazione a combattere da parte ucraina.

L’esercito ucraino di manovra può inoltre contare anche su una rete di diverse decine di brigate dell’esercito territoriale, della Guardia nazionale del ministero dell’Interno, tra cui la quarta brigata di reazione rapida (corazzata) e di un certo numero di milizie (Azov, DUK, Donbass, ecc.). Un insieme eterogeneo di battaglioni di fanteria leggera, di valore molto diseguale, capaci però di completare l’azione delle unità di manovra più pesanti e di mantenere la difesa di zone abitate.

Le forze ucraine sono organizzate da comandamenti regionali e impiegate secondo una tattica che deve essere necessariamente difensiva. Memori delle esperienze patite nella prima parte della guerra del Donbass (2014 -2015) gli ucraini sono riluttanti ad accettare il combattimento in terreno aperto, temendo infatti la maggiore potenza del fuoco russo e i loro elicotteri d’attacco e preferiscono combattere nei terreni fortemente urbanizzati, fortificati, nelle foreste e soprattutto nei centri urbani.


[1] NOTE. Si tratta della strada statale T1302 che da Severodonetsk e Lysychansk va verso sud – ovest e della autostrada P66.

[2] Un gruppo tattico è formato da 700 a 900 uomini. È di fatto la riunione sotto un unico comando di un battaglione di manovra (carri e fanteria) e di un gruppo di artiglieria (semovente o a traino meccanico), oltre a reparti di supporto (genio, trasmissioni, logistica…). Un gruppo tattico è in grado di eseguire in modo autonomo atti tattici della battaglia, sia offensivi che difensivi. Un gruppo tattico può ricevere rinforzi di forze e di fuoco dal livello superiore per l’assolvimento di particolari compiti. Il battaglione di manovra che funge da base a un gruppo tattico comprende generalmente una o due compagnie di carri, due o tre compagnie di fanteria motorizzata su veicoli della gamma BMP (cingolati) o BTR (a ruote) e una compagnia con 4 o 5 veicoli anticarro. Il design dei veicoli e l’organizzazione delle unità sono stati progettati in epoca sovietica per combinare una buona capacità di superare ogni resistenza incontrata e la velocità operativa, cioè la possibilità di avanzare da 10 a 20 km/giorno all’interno del territorio nemico.

I carri da battaglia ex-sovietici sono più leggeri di una ventina di tonnellate rispetto agli equivalenti occidentali. La vita all’interno di un T-72 o di un T-80 è quindi difficile e molto pericolosa con i proiettili posizionati direttamente sotto i piedi del tiratore e del capocarro. I veicoli da combattimento di fanteria BMP 2 o 3 così come i BTR 82 non sono migliori in termini di ergonomia. Anche a causa delle piccole dimensioni dei motori e del limitato numero di veicoli di supporto, peraltro non protetti, il gruppo tattico non ha molta autonomia logistica.