“…Sulla strada esco solo…”

Michail Gorbačëv, (foto IL MESSAGGERO)

Due giorni fa, a 92 anni, se n’è andato Michail Gorbačëv, ultimo tra i re che regnarono su quell’impero di illusioni e crudeltà che fu l’URSS.

A Mickail toccò mettere la parola “FINE” su ciò che per milioni di persone aveva significato il sogno o la speranza di una società diversa e che per altrettanti milioni aveva voluto dire terrore, sangue e dolore mal raccontato. Dopo quella firma dell’URSS restò solo la polvere e, si sa, la polvere dei sogni non genera fiori, ma lacrime.

La notte di natale del 1991 la bandiera rossa scese per l’ultima volta dal pennone del Cremlino e tutto fu compiuto. Il resto del mondo, quello che si definiva “libero“, gongolò soddisfatto per la fine dell’impero dei sogni e del sangue. Provvide ben presto a rimpiazzare i primi avendo cura di continuare a far scorrere copioso il secondo.

Cosa siamo divenuti noi, uomini del mondo libero, senza più la paura di una rivoluzione, lontana ma possibile? Ognuno di noi ha una sua risposta.

Michail lo aveva intuito e forse avrebbe potuto e voluto fermare il treno, cambiare l’Impero, ma alla fine comprese che quando la storia inizia a respirare è inutile opporsi. Così firmò e la bandiera scese.

Michail Lermontov (1814 -1841)

In una bella intervista trasmessa da La 7, Gorbačëv, ricordando quei giorni, salutava infine recitando i versi di un poeta russo solo a me sconosciuto: Michail Lermontov. Lo faceva in russo, ma in mezzo a quei suoni sconosciuti s’intuiva distinto il chiocciare di chi voleva solo essere amato.

Come tutti.

La poesia s’intitola “Sulla strada esco solo”.

Sulla strada esco solo.
Nella nebbia è chiaro il cammino sassoso.
Calma è la notte.
Il deserto volge l’orecchio a Dio
E le stelle parlano tra loro.
Meraviglioso e solenne il cielo!
Dorme la terra in un azzurro nembo.
Cosa dunque mi turba e mi fa male?
Che cosa aspetto, che cosa rimpiango?
Nulla più aspetto dalla vita
E nulla rimpiango del passato,
cerco solo libertà e pace!
Vorrei abbandonarmi, addormentarmi!
Ma non nel freddo sonno della tomba.
Addormentarmi, con il cuore
Placato e il respiro sollevato.
E poi notte e dì sentire
La dolce voce dell’amore
Cantare carezzevole al mio orecchio
E sopra di me vedere sempre verde
Una bruna quercia piegarsi e stormire.

PAROLE CHE BAGNANO I PIEDI.

Castel Sant’Elia (Viterbo) presso il Giardino Sant’Heliae. Notte d’estate. foto p.Capitini

Me ne stavo seduto su una panca di tufo giallo, di quelle che hanno dentro i pezzi del vulcano che le partorì e ne conservano ancora il calore, specie nelle notti di estate. Accanto a me il tronco di un alloro, liscio, grigio e durissimo, mi dava appoggio. Non si toccano sovente i tronchi degli alberi, come si avesse paura a sentirli vivi mentre sollevano al cielo la loro ballerina di foglie leggere. Me ne stavo dunque lì, seduto sulla mia panca di tufo, sgranando uno spigo di lavanda, annusandomi di tanto in tanto le dita e aspettando.

 “Lei dunque … Ha perduto il treno?“…

Per un minuto, sa? Arrivo alla stazione, e me lo vedo scappare davanti.“…

Improvviso lo spettacolo era iniziato: senza sipario e senza applausi. Appoggiato al tronco del mio lauro, annusandomi le dita che sapevano di lavanda, attesi che le parole arrivassero a bagnarmi i piedi, come fanno le onde basse i primi giorni della villeggiatura, quando ancora non ci fidiamo del mare.

foto p.Capitini

I due attori se ne stavano seduti su un palcoscenico di due metri per tre, appoggiato ad una grande parete tagliata nel tufo da chissà quale fulmine. Sopra quel fazzoletto di legno, sbucciavano le parole di Pirandello offrendole a noi con delicatezza, come si usa con i bimbi. Era dal tempo del mio liceo, molti anni e sogni fa, che non ne assaggiavo più una.

L’uomo dal fiore in bocca sbucciò le ultime sue raccomandandomi di trovare il primo cespuglietto d’erba su la proda. E di contarne i fili per lui. Quanti fili saranno, tanti giorni ancora avrebbe vissuto. Prima che potessi promettergli che l’avrei senz’altro fatto un grosso pipistrello entrò in scena, ci sorvolò e se ne rientrò nel buio del bosco, dando appena il tempo al dottor Leandro Scoto di salire sul palco grande come una porta a reclamare la sua immortalità.

foto p.Capitini

L’ultimo chicco di lavanda cadde a terra. Mi chianai allora verso la siepe di rosmarino che separa la panca di tufo giallo dalla minuscola platea. Ne afferrai un rametto schiacciandone gli aghi con i polpastrelli. Adesso le mie dita sapevano di lavanda e di rosmarino e le parole dei personaggi anche. Già perché anche le parole hanno un profumo e un peso, una consistenza e un sapore. Quelle di Pirandello stasera sapevano di lavanda e rosmarino ed erano tiepide; tiepide come il tufo scaldato dal sole.

Salirono quindi il dottor d’Andrea , stanco giudice di una remota Pretura e con lui il signor Rosario Chiarchiaro che esigeva gli fosse rilasciata la patente di iettatore. Anche loro avevano parole che mi bagnavano i piedi.

Guardai alla mia sinistra, oltre la siepe e la linea lontana degli alberi, un venticello fresco e umido stava risalendo la forra. Tra le pale del fico d’india s’era appoggiata una luna rossa e tonda, come il tuorlo di un uovo. Il tempo di volgere di nuovo il capo e le parole erano finite. Erano forse rientrate nella valigia o s’erano nascoste tra i segni ordinati e domestici delle lettere che da bambino avevo imparato a conoscere. Povere parole, addormentate nelle righe dei libri.

Sul palco di questo minuscolo teatro, i due attori s’inchinarono e presero i loro applausi senza però spiegarci con quale trucco le avevano risvegliate.

Il Paese d’Abbastanza e l’Impero degli Undici Fusi

foto p.Capitini

In un paese non troppo lontano viveva un re, anzi un Imperatore. Aveva un brutto carattere, l’Imperatore, almeno così dicevano in molti. Parlava poco e ascoltava molto ma soprattutto guardava tutti con occhietti piccoli e fissi, del colore del ghiaccio che fonde. Sorrideva di rado e di solito non era un buon segno. L’Imperatore governava un paese immenso, così tanto immenso che quando a un capo iniziava ad albeggiare dall’altro era già ora di andare a dormire. Nell’Impero c’erano undici fusi orari tant’è che la gente lo aveva chiamato l’Impero degli Undici Fusi.

Un paese cosi grande – direte voi – sarà stato così potente da non temere nulla e nessuno. E invece no. L’Imperatore, come quello che l’aveva preceduto e quello prima ancora, aveva una gran paura che il resto del mondo se la prendesse con lui. Sarà stato per via del brutto carattere, ma l’Imperatore non voleva gente vicino, soprattutto gente che non poteva controllare.

foto WEB

Ora, vicino all’Impero degli Undici Fusi c’era un paese abbastanza grande, abbastanza libero, abbastanza ricco tanto che tutti lo chiamavano il Paese di Abbastanza. La gente del Paese di Abbastanza non era poi così diversa dai sudditi dell’Impero degli Undici Fusi, anzi nei tempi passati il Paese di Abbastanza aveva fatto addirittura parte dell’Impero, ma ormai le cose erano cambiate o almeno così credevano gli abitanti del Paese di Abbastanza. Ne erano così tanto persuasi che da qualche anno avevano preso a mal tollerare i cittadini che nel Paese di Abbastanza avevano qualche legame con l’Impero degli Undici Fusi. Un sopruso oggi e uno domani era andata a finire che nel Paese dell’Abbastanza era scoppiata una specie di guerra tra cittadini che dicevano di essere i veri cittadini di Abbastanza e quelli che invece per via dei nonni e dei bisnonni avevano radici e lingue nell’Impero degli Undici Fusi. La cosa era iniziata pian piano ma sapete com’è la guerra, una fucilata tira l’altra e una cannonata tira l’altra e la cosa s’era fatta pericolosa.

Il Paese di Abbastanza non aveva un Imperatore Scorbutico ma un Presidente Simpatico. Era giovane, aveva fatto l’attore e sorrideva sempre. Restava simpatico a tutti meno che all’Imperatore scorbutico, ma si sa, non si può essere simpatici a tutti. Per via di questa antipatia e anche perché un po’ di paura l’Impero degli Undici Fusi, grande e grosso com’era, la metteva davvero, il Presidente Simpatico aveva pensato di farsi dei nuovi amici, ma non amici qualsiasi, per carità: ci volevano amici grandi e grossi che potessero anche far paura all’Imperatore scorbutico.

Matriosche – foto p.Capitini

Non dovette neppure cercare tanto perché appena ebbe detto che era alla ricerca di nuovi amici subito se ne presentarono parecchi. Il più importante e grande di questi viveva al di là dell’oceano, oltre il tramonto. Era un bel paese quello, pieno di fiumi e strade e montagne e di gente felice di tutti i colori. Avevano un sacco di soldi, la CocaCola e il cinema. La gente lo chiamava il Paese d’Oltremare. Anche il Paese d’Oltremare aveva un Presidente, certo non simpatico come quello del Paese di Abbastanza ma che faceva comunque la sua figura. Il Paese d’Oltremare aveva un sacco di amici, tutti paesi più piccoli che dicevano un gran bene del Paese d’Oltremare e che, quasi sempre, si trovavano d’accordo con quello che pensava il loro Presidente. Quando il Presidente Simpatico del Paese di Abbastanza chiese al Presidente del Paese d’Oltremare di stringere amicizia, questi aveva subito detto di si e anche tutti i suoi amici avevano anch’essi detto di si e siccome erano diventati amici inziarono a mandargli armi, cannoni, soldi e un po’ di gente che gli avrebbe spiegato come si usavano. A parte i soldi che quelli tutti sapevano come usarli.

Ora c’è da dire che per una vecchia faccenda che ora non ricordo l’Imperatore degli Undici Fusi e il Presidente del Paese d’Oltremare non si potevano vedere e non mancavano occasione di farsi dispetti. Erano andati avanti così per anni e nessuno in fondo se ne era preoccupato più di tanto. Però che il Paese di Abbastanza fosse diventato così amico del Paese d’Oltremare all’Imperatore scorbutico non era proprio andata giù. Come era sua abitudine aveva avvertito il Presidente Simpatico e anche tutti gli altri che quella cosa non gli piaceva per niente e che forse sarebbe stato meglio se quell’amicizia fosse stata un po’ meno stretta. Diciamo che una conoscenza educata sarebbe anche andata bene. L’aveva ripetuto un sacco di volte, ma ogni volta il Presidente del Paese d’Oltremare e tutti i suoi amici non lo prendevano sul serio e anzi gli rispondevano che loro avrebbero fatto quel che volevano e che si mettesse pure l’anima in pace.

Oltre ad essere scorbutico l’Imperatore era anche parecchio permaloso, più permaloso della media degli imperatori. Aveva anche un bell’esercito, grande e grosso. Certo non grande e grosso come quello del Presidente del Paese d’Oltremare ma comunque era pur sempre un esercito di tutto rispetto. Fu così che una sera d’inverno l’Imperatore degli Undici Fusi decise di invadere il Paese di Abbastanza. Nessuno se l’aspettava perché le guerre, in quella parte di mondo, erano passate di moda, ma si sa, l’Imperatore era uno all’antica così aveva iniziato una guerra all’antica di quelle con tanti carri armati, cannoni e aerei e bombe tirate qua e là.

Il Presidente Simpatico del Paese di Abbastanza non la prese affatto bene, anzi. E visto che anche lui in fondo era un tipo tosto iniziò a far la guerra anche lui. Il Presidente del Paese d’Oltremare e tutti i suoi amici giurarono e spergiurarono di aiutare il Paese di Abbastanza con tutto quello che sarebbe servito a fare una guerra: bombe, armi, soldi, cannoni… tutto. Ma non era bastato. Si erano anche messi d’accordo per una cosa chiamata “sanzioni” che in pratica consiste nel non comprare né vendere niente all’Impero degli Undici Fusi. L’idea era che senza più comprare o vendergli niente ben presto l’Impero sarebbe diventato povero, ma così povero da non aver più soldi per fare la guerra. Tutti applaudirono soddisfatti. A dire il vero qualcuno tra gli amici del Presidente d’Oltremare fece presente che non vendendo né comprando niente anche loro, gli amici, ci avrebbero rimesso, e anche tanto. Tuttavia non ci fu nulla da fare: era una questione di principio e si sa come vanno queste cose; quando una cosa diventa una questione di principio…

foto p.Capitini

Qualcun altro fece anche presente che tutte le fabbriche, l’elettricità e anche i fornelli degli amici del Presidente d’Oltremare funzionavano perché l’Imperatore Scorbutico mandava loro il gas. Certo, essendo scorbutico e permaloso non lo faceva gratis, voleva essere pagato, ma a onor del vero, l’Imperatore aveva sempre continuato a mandarlo senza perdere un giorno; almeno fintanto che avevano continuato a pagarglielo. Ora però c’erano le sanzioni e il gas non si poteva più prendere. Comprare gas da un imperatore scorbutico, permaloso e che faceva la guerra era davvero una cosa brutta. “Non vi preoccupate” – sentenziò felice il Presidente del Paese d’Oltremare– “Il gas ve lo mando io, certo che capirete come venendo il gas da molto lontano vi costerà qualche soldo in più”. Tutti gli amici assentirono. Alcuni sembrarono poco convinti ma assentirono lo stesso per non fare brutta figura. Il gas più caro che veniva dal Paese d’Oltremare comunque non bastava così tutti gli amici si affrettarono a comprarne altro da altri paesi brutti, sporchi e cattivi quanto e più dell’Impero degli Undici Fusi, ma come si è detto; era una questione di principio.

Intanto la guerra dell’Imperatore al Paese di Abbastanza andava avanti. Tutti erano sicuri che il Presidente Simpatico avrebbe vinto, anzi trionfato e continuavano a mandargli armi e cannoni, e più ne mandavano più la guerra andava avanti. Anche l’Imperatore e il suo esercito andavano avanti, piano piano, un chilometro alla volta e i soldati del Paese di Abbastanza, per quanto coraggiosi, si ritiravano un chilometro alla volta.

foto p.Capitini

Si andò avanti così per giorni e giorni e poi per mesi con i soldati dell’Imperatore che spingevano e morivano e quelli del Presidente Simpatico che si ritiravano e morivano anche loro. Anche le sanzioni del Presidente d’Oltreoceano e dei suoi amici continuarono giorno dopo giorno sempre convinti che questo avrebbe fermato l’Imperatore.

Venne poi un giorno, poteva essere un martedì mattina o forse un mercoledì, che i soldati del Presidente Simpatico, visto che malgrado l’impegno, il coraggio e le armi nuove e bellissime che gli aveva fornito il Presidente d’Oltroceano non riuscivano a vincere, decisero che non volevano più morire. Lo decisero prima in pochi, poi sempre di più e infine tutto l’esercito del Presidente Simpatico decise che ne aveva avuto abbastanza e che da quel momento in poi non avrebbero più combattuto e se ne sarebbero tornati a casa loro.

La decisione di quel martedì mattina sorprese tutti, ma accade sempre così con la guerra di usura, dagli oggi e dagli domani dopo un po’ di tempo non rimane più nulla da usurare. La fine della guerra sorprese il Presidente d’Oltreoceano, tutti i suoi amici e anche il Presidente del Paese d’Abbastanza anche se lui un po’ meno. L’unico che non fu sorpreso fu l’Imperatore. Da mesi infatti aveva pensato e fatto proprio quello. Indebolire goccia a goccia l’esercito del Paese di Abbastanza. Insomma un martedì mattina o forse un mercoledì ci si accorse che l’Imperatore scorbutico aveva vinto. Non era diventato più povero, non aveva perso nessuna battaglia e neppure il suo popolo l’aveva buttato giù così come avevano pensato e a un certo punto solo sperato il Presidente di Oltreoceano e tutti i suoi amici. L’imperatore aveva semplicemente vinto.

E adesso? Dipinto come un mostro senza alcun sentimento, al di là del confine che separava il Paese di Abbastanza da quelli degli amici del Presidente d’Oltreoceano tutti pensarono che a questo punto l’Imperatore si sarebbe vendicato, avrebbe ucciso, deportato, incendiato e altre cose che normalmente fanno gli Imperatori. E invece no. L’imperatore si fermò sulla riva del grande fiume che da nord a sud divideva il Paese di Abbastanza. Si fermò; i carri armati spensero i motori, i cannoni abbassarono le canne e anche i soldati si sedettero sotto un albero a fumare. D’improvviso il silenzio che per tanti mesi era fuggito da quei posti tornò ad abitarne i prati e le macerie. “che strano” – pensò l’Imperatore scorbutico – “in fondo il primo segno della pace è il silenzio. Qualcuno ricordò allora all’Imperatore che non si può fare la pace da soli e che si deve fare con il nemico. Vennero dunque mandati messi e ambasciatori verso il Paese di Abbastanza per trovare il Presidente Simpatico e iniziare a negoziare.

foto p.Capitini

Cerca, cerca però il Presidente Simpatico non si trovava. Da quando il suo esercito aveva deciso di smettere di combattere e metà del paese era finito in mano all’Imperatore era scomparso. C’era chi diceva fosse volato via con un elicottero verso il Paese d’Oltreoceano, chi invece giurava che si fosse sparato. Resta il fatto che in tutto il Paese di Abbastanza non si trovava un solo presidente con cui parlare. All’imperatore venne in mente una soluzione semplice che aveva sempre funzionato in passato. “Facciamo delle elezioni così avremo un nuovo presidente”. A dire il vero la gente del Paese di Abbastanza non si fidava troppo di elezioni organizzate dall’Imperatore scorbutico, ma d’altra parte era lui che aveva vinto e una dei vantaggi di vincere rispetto a perdere è che puoi fare quello che ti pare. Vennero quindi indette nuove elezioni libere. Fu una cosa seria tanto che fu lo stesso Imperatore scorbutico, proprio lui, a scegliere uno per uno i tre candidati. Vinse il numero due che venne subito proclamato Presidente del Paese di Abbastanza e siccome era amico del cugino dell’Imperatore e non voleva dispiacerlo, firmò tutto quello che c’era da firmare, consegnò tutto ciò che c’era da consegnare e giurò tutto quello che c’era da giurare. La banda suonò e la bandiera salì sul pennone.

Tra le cose che il nuovo presidente aveva giurato c’era che mai e poi mai avrebbe chiesto niente al Presidente d’Oltreoceano e ai suoi amici. Non avrebbe accettato neppure regali. Questo offese moltissimo il Presidente d’Oltreoceano che si mise a urlare, minacciare, intimidire e schierò un grande esercito proprio attaccato al confine dell’Impero degli Undici Fusi. L’Imperatore non la prese bene e i due ripresero a litigare come avevano sempre fatto, solo che adesso l’imperatore poteva dire al Presidente che aveva vinto e che quindi tutta quella storia di mandare armi, cannoni, soldi e gente al Presidente Simpatico non aveva funzionato. E non aveva funzionato nemmeno non vendergli né comprargli più nulla visto che nel frattempo l’Imperatore aveva trovato altri regni e imperi a cui vendere tutto quello che aveva. L’imperatore aveva infatti ferro, legno, carbone, oro in gran quantità ma ancor più aveva petrolio e gas e, si sa, quando hai oro, petrolio e gas si trova sempre qualcuno disposto a comprarli. A qualcuno venne in mente che anche i paesi amici del Presidente di Oltremare avevano bisogno di gas visto che in tutti quei mesi in cui sbraitavano e condannavano non erano riusciti a riempire le scorte e l’inverno appariva lungo e freddo. Qualcun altro propose al Presidente di Oltremare che forse era il caso che si iniziasse a parlare con l’Imperatore scorbutico proprio perché l’inverno si annunciava freddo e nevoso, ma il Presidente non volle sentir ragioni. Un paio di persone fecero però notare che faceva presto lui a parlare così. Lui il gas e il petrolio ne aveva quanto ne voleva, anzi lo vendeva addirittura ai suoi amici. A dire il vero lo vendeva anche più caro di quello dell’Imperatore. Pian piano tutti gli amici presero a litigare tra loro. Chi voleva il gas, chi non lo voleva, chi aspettava il petrolio e chi invece aspettava di capire che cosa si sarebbe deciso. Molti anni prima, in un tempo di pace e abbondanza, tutti i paesi amici del Presidente di Oltremare si erano riuniti in una specie di alleanza chiamata Unione, promettendo di aiutarsi e sostenersi a vicenda. La cosa bene o male aveva funzionato per oltre vent’anni, ma poi prima una grande crisi economica, poi un virus dal nome di detersivo e infine la guerra dell’Imperatore avevano iniziato a far scricchiolare questa bella amicizia. L’Imperatore ne approfittò e telefonò uno ad uno a tutti i capi e i re di quei paesi “Si lo so, mi avete chiamato criminale, macellaio, assassino e tante cose brutte, ma ormai la guerra è finita ed è tempo di guardare avanti” – diceva a questo o a quel ministro – “Visto che voi siete senza gas, volete che ve lo chiuda una volta per tutte o preferite che ve lo mandi alla metà del prezzo del Presidente d’Oltremare?

Era una bella domanda. C’era da scegliere tra far contento il Presidente d’Oltremare e morirsi di freddo oppure farlo arrabbiare e accendere forni, termosifoni e fabbriche. Ripresero tutti a litigare anche su quello e alla fine decisero che avrebbero fatto come si faceva una volta: ognuno come gli pare, ma questa è un’altra favola.