Dove sei? Non lo so!

Trent’anni fa Marc Augé li aveva definiti NONLUOGHI. Sarà perché Augé, che di mestiere fa l’antropologo, veniva da Poitier, un luogo vero che quando i romani avevano deciso di chiamarlo Limonum era già abitato dai galli da oltre tre secoli. Insomma Augè se ne intendeva di luoghi, quelli dove gli uomini vivono o hanno vissuto per secoli e secoli. Ecco perché s’era inventato i nonluoghi, quelli abitati dagli individui, una specie umanoide gente diversa dagli uomini.

Sono nonluoghi quei posti dove invano cercheremo un odore da ricordare; una voce familiare; un’anima qualsiasi. Sono i luoghi-lampadina, che si spengono ad una certa ora per riaccendersi puntuali il giorno successivo, invariati e inutili. Nel mezzo solo una notte vuota.

Parigi – il metrò (foto p.Capitini)

Sono i megacentri commerciali, gli aeroporti, le sale Bingo, le stazioni o le multisala. Sono le piazze in cemento armato con al centro l’incompresibile monumento imbrattato di spray.

Sono i condomini-scaffale delle periferie con le loro parabole aggrappate su terrazzi ingombri e orientate al mondo.

Sono i luoghi partoriti da chi che conosce solo l’utile. Aborti putridi dove ogni emozione avvizisce; dove ogni sentimento si perde spaventato dall’eco dell’inumano. Eppure abbiamo scelto di viverci fingendo di non sentire il freddo della non-vita che trasudano.

San Vittore di Genga (AN) (foto p.Capitini)

Siamo noi, i cultori della villetta a schiera con taverna. Siamo noi che non saliamo al secondo piano e non usiamo il grande bagno con l’idromassaggio. Siamo noi che preferiamo una vita ipogea da dividere con l’auto, parcheggiata con cura sul pavimento in gress lucido, giusto oltre la porta simil legno.

Siamo noi che abbiamo creato i nonluoghi. Li abbiamo chiesti, invocati e, soddisfatti e alla fine ci siamo convinti di possederli.

E’ più comodo” – ripetiamo – “Ci trovi tutto!” Ci siamo forse resi conto che stavamo sceglendo di voltare le spalle al mondo? Il fuori, il lontano è per sua natura scomodo, caotico, imprevedibile, contrastante, incerto e questo per secoli e millenni ci aveva resi vivi, intelligenti, adattivi senza essere distruttivi. Poi ci hanno convinto che utile e inutile sarebbero stati i nuovi metri. Il bello, l’emozionante, il difficile, la sconfitta, il trionfo? Finiti. Vecchi. Per spostare montagne e attraversare oceani serve un amore pazzo, un’odio inestinguibile, una curiosità insaziabile, per girare sassolini tra le mani basta la tranquillità e uno smartphone. E’così che abbiamo scelto i nonluoghi, ci sono indispensabili perché solo lì dentro possiamo essere finalmente non-uomini senza provare né paura, né vergogna.

A differenza dei centri delle nostre antiche città i nonluoghi non dormono, né sognano. Si spengono e basta.

BREVE RIFLESSIONE SULL’ARIA DI CASA

Cingoli – gatto al sole e neve (foto p.Capitini)

Ho sempre avuto l’impressione che in questa parte d’Italia le pietre parlino.

Povere pietre appena sbozzate da mani rozze e devote, custodi di infiniti inverni, rispondono dolci ad ogni sguardo che si posi distratto su di esse.

E’ la dolcezza dell’Italia centrale, un’immobile terra di mezzo fatta di colline infinite e di millenarie madonne che scoloriscono nella penombra di chiese minuscole, deserte di uomini e piene di Dio.

FATTO D’ELEMOSINA

Madonnina sulla strada provinciale 502 (foto p.Capitini)

In ginocchio, il capo leggermente reclinato da un lato, le braccia aperte. Così mi era apparso al km 25 della provinciale 502 per San Severino Marche, appena dietro una curva. Il paese era qualche chilometro più a valle e il prossimo ancora più lontano e in un’altra valle. Lassù non ci si capitava per caso.

Io, ad esempio avevo scelto quella strada in salita in mezzo ai boschi di querciolo e acero per togliermi di dosso l’odore dell’ospedale. Avete mai fatto caso che i luoghi di sofferenza come ospedali, prigioni e talvolta scuole hanno un loro odore? Quelli dove abbiamo trovato la gioia invece rubano i profumi da fuori. Può essere la fioritura dei tigli, il fumo di legna, i gelsomini o quello di una bella donna, troppo bella anche per sorridergli.

La provinciale 502 per San Severino è un luogo profumato di foglie e acqua e chissà se quell’uomo li aveva avvertiti. Dai vestiti sembrava uno che, come me, aveva deciso di salire di corsa verso il passo.

(foto p.Capitini)

Da Cingoli la provinciale sale leggera ma costante; forse non abbastanza leggera per lui che se ne stava fermo davanti a una piccola edicola dipinta di fresco. Mentre lo superavo l’avevo osservato con attenzione. Mi aveva sorpresso che se ne stesse in ginocchio, il capo leggermente reclinato da un lato, le braccia aperte.

Non stava male.

Pregava.

(foto p.Capitini)

L’immagine di quell’uomo in ginocchio che parlava a sé stesso attraverso dio mi ha accompagnato nel resto del percorso. Ho spento la radio che mi accompagna sempre e nelle mie corse solitarie prendendo ad ascoltare il rumore dei miei passi. Il profumo balsamico del bosco d’autunno addolciva il respiro affannato da quasi sessantenne sovrappeso; i piedi risparmiavano pozzanghere ancora limpide; ovunque, attorno a me, foglie indecise tra il giallo e il rosso, tra la vita e la neve.

Ripassando davanti alla madonnina il mio pellegrino se n’era ormai andato, ma l’ho ringraziato per avermi ricordato di sorridere grato a tutto questo.