Spiaggia di Falconara Marittima (Ancona) (foto p.Capitini)
Qualche volta c’è bisogno del mare. E’ lì a dirti di prendere coraggio e ascoltare la risacca che eterna batte sugli scogli della tua anima. Senza accenti, nel suo infinito avanti e indietro ti racconterà di futuri giorni di sale e di burrasca, e di bonacce improvvise ed eterne, e di nebbie, e di relitti. Ma se infine guardo indietro, lassù, verso la collina e le sue certe stagioni, il sorriso deciso d’un passo di tango mi conforta nel prendere il largo. Ugualmente.
Wiezniow Oswiecimia nr 20 è uno degli indirizzi del Male.
Ci puoi passare davanti ogni giorno, o vivere per anni dall’altro lato della strada e far finta di non vederlo. Sono tanti gli indirizzi del Male: alcuni abbandonati, altri dimenticati, molti ancora in piena attività. Questo lo trovi a 78 chilometri ad ovest di Cracovia, in fondo ad un viale alberato; subito dopo un ristorante che fa pizza a mezzogiorno.
Si può parcheggiare l’auto e camminare per poche centinaia di metri seguendo un marciapiede sconnesso, a ridosso d’una cancellata bianca un po’ scrostata. Al civico nr 20 trovi l’ingresso del Vernichtlunglager.
Campo di Auschwitz 1 (Polonia) – cancello d’ingresso (foto p.Capitini)
E’ mattina presto quando mi presento all’entrata. Mancano pochi giorni a Natale, fa molto freddo e l’aria gelida trattiene l’odore acre del carbone in un sentore da vecchia stazione. Da tempo volevo visitare Auschwitz e stavolta, terminata l’esercitazione al NATO Training Center, ne avevo l’opportunità. Mi ero mentalmente preparato all’emozione che di certo avrei provato nel passare sotto la scritta “Il lavoro rende liberi”, quella che trovi sui libri e che tutti conoscono e riconoscono. Invece no. L’impressione è forte ma l’emozione non c’è. Quel luogo, così ordinato e ben tenuto, mi appare familiare come per me lo sono tutte le caserme. Il KL 1 del complesso concentrazionario Auschwitz-Birkenau presenta con precisione museale come e dove sono state inflitte la morte ed orribili sofferenze a migliaia di persone, ma mentre mi addentro nella fabbrica dell’inumano, le pietre ed i reticolati non mi parlano. Le forche ed i crematori tacciono. Sarà forse perché, a differenza degli uomini, i luoghi non hanno memoria.
Campo di sterminio di Auschwitz- Birkenau – i binari della selezione (foto p.Capitini)
Può quindi essere accaduto che piano piano, anno dopo anno, nel Vernichtlunglager nr 1 le emozioni si siano trasformate in racconto e poi ancora in altro. Sopraffatti prima dalla crudeltà di quei giorni e poi da quella degli anni, i rari testimoni si sono perduti ed il loro racconto si è trasformato; diluito nell’interpretazione; semplificato dalla ripetizione e infine quasi cancellato dal tempo. Alla fine quel che qui sopravvive è la liturgia. Un rito laico che ha per protagonisti Nazisti contro Ebrei, carnefici contro vittime, colpevoli contro innocenti e che parla per grandi numeri, per categorie: un milione i morti, forse un milione e mezzo; meno di diecimila i sopravvissuti; migliaia i convogli; centinaia le uccisioni ogni giorno. Non amo i numeri e non amo le liturgie e continuo ad addentrarmi nel labirinto ancora muto. Entro nei blocchi dove lungo i corridoi, dalle pareti, centinaia di ritratti mi osservano. Hanno volti quasi identici: identica la magrezza; identica la rasatura del cranio ed il pigiama a righe.
(foto p.Capitini)
Simili gli occhi sgranati. Tutti avevano avuto un nome. La prova che anche in questo luogo di non-vita, si era esistiti. Alcuni l’avevano mantenuto ma per altri: ebrei, zingari, malati mentali, prigionieri di guerra russi e via, nessuno degli impiegati della fabbrica s’era presa la briga di registrarne il nome. Erano scomparsi nelle camere a gas e poi nei crematori come se non fossero mai esistiti. I più fortunati ora mi guardano dai muri. A bassa voce, nel mio accento italiano, pronuncio alcuni tra le migliaia e migliaia di nomi che sono evaporati e questo finalmente mi emoziona e mi rende partecipe di una parte infinitesima del loro sorpreso dolore. E’ vero che i luoghi non ricordano. Sono le persone che ricordano e quando smetteremo di ricordare saremo allora pronti per far rivivere di nuovo luoghi simili. Ancora non lo sappiamo e certo non lo vogliamo, ma c’è una seria possibilità che da qualche parte si stia già cercando un altro indirizzo per l’Aushwitz prossimo venturo.
la piscine de Roubaix – ora sede del Musée d’art et d’industrie (foto p.Capitini)
Bello e inappropriato come una sorpresa, il cielo di fine aprile è inaspettatamente azzurro. Piccole case in fila; mattoni bruniti, ordinati e minuscoli; abbaini sempre chiusi e grandi finestre senza visi e senza vita si affacciano su strade un tempo familiari ed oggi a loro stesse estranee.
Tra un kebab, una macelleria halal ed una sopravvissuta brasserie tutto qui è ancora ostinatamente ordinato. Regione dell’Houte-de-France come si chiama adesso, cuore d’Europa in parte espropriata, a tratti stupita e rancorosa, come la bella donna che è stata e che ormai non sarà più. Qui per le vie e tra le case quasi si sente ancora l’odore del carbone che spingeva le fabbriche e uccideva operai dagli occhi azzurri e dai grandi baffi, piegati sui telai e felici di un ballo o di una birra la domenica. Oggi di occhi azzurri se ne vedono pochi attorno alla grande moschea che con qualche ironia ha voluto sull’incrocio Croix.
Poi però giri per rue de l’Esperance e al 23 capisci come questo posto dove è stata inventata l’Europa della produzione in massa e poi quella della guerra in massa non riesce a sfuggire il suo destino di modernità. E’ condannata a guardare avanti anche quando si trasforma nell’Europa dell’estraneità, capace di convincere ragazzotti come quelli che incrocio per strada a credere che 70 vergini in cambio della loro vita siano un buon affare. Al 23 di rue de l’Esperance, attaccato ad un bowling e di fronte al municipio di Roubaix, ci sono le vecchie piscine della città, costruite tra il 1927 ed il ’32 dall’architetto Albert Baert e fino a trent’anni fa erano aperte e poi chi le ha chiuse ha avuto un’idea. Un’idea moderna. Quelli che seguono sono alcuni degli scatti presi in uno dei musei più sorprendenti che abbia avuto la fortuna di visitare: la piscine de Roubaix.
Gestisci Consenso Cookie
Per fornire le migliori esperienze, utilizziamo tecnologie come i cookie per memorizzare e/o accedere alle informazioni del dispositivo. Il consenso a queste tecnologie ci permetterà di elaborare dati come il comportamento di navigazione o ID unici su questo sito. Non acconsentire o ritirare il consenso può influire negativamente su alcune caratteristiche e funzioni.
Funzionale
Sempre attivo
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono strettamente necessari al fine legittimo di consentire l'uso di un servizio specifico esplicitamente richiesto dall'abbonato o dall'utente, o al solo scopo di effettuare la trasmissione di una comunicazione su una rete di comunicazione elettronica.
Preferenze
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono necessari per lo scopo legittimo di memorizzare le preferenze che non sono richieste dall'abbonato o dall'utente.
Statistiche
L'archiviazione tecnica o l'accesso che viene utilizzato esclusivamente per scopi statistici.L'archiviazione tecnica o l'accesso che viene utilizzato esclusivamente per scopi statistici anonimi. Senza un mandato di comparizione, una conformità volontaria da parte del vostro Fornitore di Servizi Internet, o ulteriori registrazioni da parte di terzi, le informazioni memorizzate o recuperate per questo scopo da sole non possono di solito essere utilizzate per l'identificazione.
Marketing
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono necessari per creare profili di utenti per inviare pubblicità, o per tracciare l'utente su un sito web o su diversi siti web per scopi di marketing simili.