Andersen abitava al 104/A, Nicolai Cogol al 125, secondo piano. Camminando per via Sistina, sotto le lapidi che li commemorano, oggi incontro serrande chiuse e vetrine impolverate, segni di una città che sta morendo e non solo per colpa del Covid.
Roma – piazza del popolo, particolare della fontana e della Porta Flaminia. (foto p.Capitini)
Roma muore per mancanza di genio e per la perdita di sogni. Muore soffocata dal dio dell’applauso; ammutolita dal latrare dei nuovi potenti, dal loro inconcludente digrignar di denti.
Seduti nei suoi angoli bui, odorosi di piscio e di cipolla, i secoli di questa città hanno tremato per Annibale, sono stati sgozzati dai pugnali dei lanzichenecchi; hanno pregato seguendo santi e Papi crudeli, ma non avevano ancora patito l’offesa arrogante della stupidità e dell’incompetenza erette a sistema. Passerà? Si, certo che passerà. Prima o poi questa gente impennacchiata che si adorna di titoli e di sontuosi stipendi, che affonda le mani grasse nella ricchezza di un intero paese, passerà. E di essa non rimarrà neppure un puzzo di piscio.
Royal Enfield 500 bullet – la mia. (foto p.Capitini).
Meo, la vecchia gatta che da tempo ha deciso di coabitare con me, è uscita. Io ho finito di annaffiare. La giornata qui a Nepi, in attesa dell’ennesima ondata di caldo africano, si presenta calda si, ma asciutta. Ed è mentre dal terrazzo vedo la mia vicina portare a spasso il cane che ho l’illuminazione. “prendo la moto e vado dai miei!”. Bella idea, solo che i miei abitano a Jesi, dall’altra parte dell’Appennino. Dettaglio trascurabile.
Carico le borse, residuato bellico dell’esercito svizzero che le usava per il servizio postale, sul sedile posteriore faccio salire i miei primi appunti per il prossimo libro; do un’occhiata alla carta e via. La ruota punta verso Narni e poi Terni e da lì su per la val nerina, Sopra il Monte Maggiore, dopo 12 km di sterrato in salita si rompe il cavo della frizione. Sorrido, smonto, sfilo, riattacco e m’invento una riparazione con una catenella fatta di fascette per tubi. Poco importa. Sorrido e scendo a Cerreto del Nera dove un meccanico dagli occhi azzurri e l’espressione truce guarda la mia riparazione e ride. “Te metto ‘l’ filo dell’Ape, E che c’ho solo quelli!” – “Va benissimo!” Rispondo io. Riparto per Colfiorito. Si sale, si sale e non si incontra nessuno, ma proprio nessuno. Sono solo in un turbinio di curve, tornanti, alpeggi e boschi freschissimi. Il cavo dell’Ape tiene e mi porta fino a Camerino.
San Valentino, un paesino dove non si gira neppure con la moto….una delle dimore del vento come le definirebbe Paolo Rumiz. (fotop.Capitini)
Cerco un negozio Wind Tre perché nel frattempo la simpatica compagnia m’ha staccato il telefono. Hanno ragione, ma proprio oggi se lo dovevano ricordare. Comunque sono a Camerino e lì un punto Wind lo trovo di sicuro. E invece no. Dal 2016, dopo il terremoto, Camerino semplicemente non esiste più. Al suo posto c’è un simulacro di città deserto e angosciante. Riparto con tristezza verso Fabriano. Ormai casa dei miei è vicina e la mia motocicletta – si motocicletta, non moto, come si addice ad una vecchia signora – mi ha portato a casa, malgrado la frizione, la polvere, il caldo….malgrado tutto.
Caratteri minuti, non allineati, grassi d’un inchiostro da questura resuscitano un tempo povero, quando mio padre era un ragazzo, il nonno combatteva da qualche parte in Europa senza sapere d’essere vecchio e per chi restava, sognare era più facile che vivere.
Ora questo pezzo di ferro nero e lucida, incomprensibile meccanica è di nuovo pronto a strappare parole dall’animo e a inchiodarle sulla carta, senza pentimenti, immediate come una ingiusta parola di rabbia sputata a un amico. Devi però fare attenzione perché quel pezzo di ferro viene da un tempo in cui anche un segno sulla carta era ricchezza e sprecare caratteri e virgole era peccato come gettare il pane.
Si baciava il pane allora. E si cercavano le parole, quelle giuste e pesanti. Le si facevano girare nella mente, forse si bisbigliavano pian piano assortendole l’una all’altra come un delicato mazzo di fiori e solo allora si consegnavano alla macchina. Ora, seduto davanti al mio computer immateriale mi rendo conto a quanto garbo e educazione mi sono sottratto. Saranno ancora lì, in quel nastro d’un nero da questura.
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