La polvere su Colombo

cronaca di un pomeriggio in un mercatino

Spiagge libere dove il mare degli anni e le onde dell’inutile sbarcano oggetti di vite passate, spesso dimenticate. Ho sempre amato i mercatini dell’usato e questo ben prima che l’ondata green o la moda del vintage li rendesse popolari.

Amo la polvere di questi luoghi anarchici e fedeli. Tanto fedeli da conservare il sentore del sudore o quello del soffritto di cucine dove per anni avevano vissuto. Alcuni in bella mostra sopra il televisore o appesi alla parete o ancora gelosamente conservati nel primo cassetto del comò in camera da letto. Oggetti che appartenevano al mondo del permanente, dove ci si teneva a che quel che si comprava “durasse una vita”.

E come bravi soldati vincolati da un giuramento di eterna fedeltà al loro padrone loro – gli oggetti – durano davvero da una vita. Anche quando il loro proprietario è verosimilmente morto e tutta la sua casa, e ancor più, le sue cose, sono divenute estranee a quelli che lui – ingenuo – considerava i suoi affetti più cari.

Ecco che la medaglia commemorativa della guerra 15-18, quella che nonno aveva combattuta davvero e pagata con onde continue di terrore, la ritrovi a 5,80 euro dietro quella commemorativa del giubileo del 1975. E non ci sarebbe alcun male se non fosse per l’offensiva descrizione: “medaglia vecchia”.

Un giorno m’è capitato di trovare per 10 euro un fermacarte con lo stemma del mio corso d’Accademia. Come fosse finito sul banco della minutaglia di un rigattiere di Campagnano Romano per me rimane ancora un mistero insoluto, ma ricordo bene come il rinvenire quel frammento che ancora sapeva di freddo umido e di caffè appena tostato delle glaciali mattine modenesi , m’aveva suscitato un sentimento di nostalgia e insieme di delusione. “Eccoli lì” – avevo pensato – “ tutte le sveglie all’alba, i cazziatoni, l’orgoglio della divisa da cadetto e il vanto che avevo e ancora ho per lo stemma del mio corso”. A Campagnano li avevo trovati per 10 euro.

Capisco che esistano luoghi migliori e più appropriati per lasciarsi andare a meditazioni un tantino introspettive, ma per me il mercatino dell’usato batte ogni seduta di yoga o di psicanalisi. Vedere, toccare, annusare e controllare queste reliquie di mille vite a me sconosciute aiuta a ricordare che, prima o poi, anche io finirò da qualche parte laggiù in vendita a 5,80 euro. Così finirà il pezzo di tronco fossile che ho riportato dall’Africa, il frammento del duomo di Haiti dono di quelli che con me erano laggiù a sperimentare l’ira di Dio o le mie inutili e per fortuna poco numerose medaglie.

Mi scoccia assai pensare però che la mia sciabola ricurva da bersagliere finirà nel portaombrelli insieme ai bastoni da passeggio e alle simil scimitarre comprate in ricordo di una gita a San Marino. Peggio per lo Spadino dell’Accademia che già vedo – se andrà bene – usato come tagliacarte su qualche scrivania, spero non di un influencer.

Girato l’angolo passo la vetrina doppia delle vecchie macchine fotografiche a pellicola. Canon, Nikon, Minolta, Hasselblad e Leika; come dinosauri tutte improvvisamente estinte dal precipitare sulla fantasia del meteorite digitale. Pensare che per una Hasselblad usata ero stato sul punto di giocarmi mezzo stipendio. Saluto i loro occhi bluastri e immobili e sento il rimprovero espresso in 125/11 per non averli salvati. Pazienza, la vita – almeno la mia – è fatta da continue, piccole vigliaccherie, spesso innocenti, che solo l’eroismo sorprendente di qualche inatteso istante permette di sopportare. Per il resto si può sempre far conto sul tempo che passa e sulla consapevolezza di non essere certo soli.

Eccomi dunque alla libreria. Il mio angolo preferito. Rigurgito di parole, di temi, di opinioni e convinzioni accatastate una sull’altra senza alcuna gerarchia o riguardo. “Lettere dal Carcere “ di Gramsci condividono la costola con “le ricette del buon Dio” di Suor Germana e che “Storia della II Guerra Mondiale “ di Winston Churchill giace impolverata a fianco di “Enciclopedia Universale Curcio”, entrambe colpevoli di avere troppi volumi per potersi permettere un posto in una libreria di oggi.

Come al solito adotto quello che chiamo il “metodo canile”. Non cerco nulla; non sposto niente; non sfoglio. Aspetto che per qualche inspiegabile motivo da quella montagna di carta polverosa e ingiallita giunga un segnale, una sorta di S.O.S. diretto esplicitamente e unicamente a me.

Di solito ci vuole del tempo e talvolta non è neppure detto che accada. Stasera però eccolo arrivare, il segnale.  “Storie di Navi, di viaggi e di Relitti” edizioni Mursia, anno 2001. Prezzo 6,20 euro.

Non so voi ma per me non c’è nulla più del mare che possa ispirare ogni racconto. Sarà perché il mare è l’unica esperienza extraterrestre che possiamo permetterci su questo pianeta senza pagare Elon Musk. Sarà perché sul mare siamo tutti così estranei e impermanenti da aggrapparci alla speranza, alla nostalgia e alla fantasia come povere scialuppe che ci riporteranno forse a terra. A ben guardare sul maregalleggia sempre un “forse” che affoga ogni certezza. Ecco perché quando cerco una Storia da sognare la cerco sul mare. Non è stato forse Cristoforo Colombo a dire “ E il mare concederà a ogni uomo nuove speranze, come il sonno porta i sogni. Coloro che vedono la luce prima degli altri sono condannati a continuare a dispetto degli altri. Dio mi destinò al mare e mi dette l’ardore e l’azione”. Con me Dio non è stato tanto generoso, ma mi ha reso curioso e di questo lo ringrazio.